lunedì 12 maggio 2014

SOGNI DI TERRA IN PRIMAVERA: EVVIVANOE' E LA CERAMICA



Ebe Tirassa "Uovo in Raku"



Sabato 10 maggio Evvivanoé si è animata dei mille riflessi scintillanti della ceramica.

"Special guest" di primavera, la delicata e poetica artista Ebe Tirassa che ci ha portato in galleria le sue ultime creazioni – pannelli in ceramica raku - e le sue “signorine” in ceramica.

Ebe è una giovane ceramista che inizia la sua formazione di ceramista con Giorgio Luciani da cui apprende le tecniche raku e terra sigillata. Poi sotto la guida di Luca Tripaldi si dedica ad altre lavorazioni: naked, pit-fire, segatura, bucchero e alta temperatura. Approda infine alla scultura, la forma di espressione che predilige.
Dal 2004 a oggi ha esposto in Italia e all'estero in musei (come il MIAO di Torino) e gallerie, in mostre personali e collettive.

Le sue opere sono riflesso del suo mondo interiore, quasi la materializzazione di un sogno attraverso la terra.
Le sue "signorine" sono donne esili dall'aria vagamente retro e dall' intensa espressività. Semplici e piene di
carattere.
Il suo percorso creativo l'ha riportata infine al raku, il suo primo amore. Piccole formelle di ceramica si uniscono a formare trame e pattern restituendo vitalità a vecchie ante di legno oppure formano lettere e poi parole.
Insieme a Ebe Tirassa ci saranno anche alcune opere di Enrica Campi e Massimo Voghera, la coppia di talentuosi e imprevedibili ceramisti torinesi che hanno esposto diverse volte in galleria. 
Abbiamo una ragazzina che ha le farfalle nello stomaco, dei giocolieri e un'equilibrista, boschi incantati e favole. Tutto di terra, o meglio, di terracotta. Insomma, sogni e visioni fantastiche fatti di ceramica.

La mostra proseguirà fino a lunedì 2 giugno.

Orari: dal martedì al sabato 16-19.
Apertura straordinaria dalle 9,30 alle 19 domenica 11 maggio in occasione del Grande Mercato della Ceramica e del Vetro d’Arte di Cherasco.

Visite su appuntamento chiamando il 3397340061 o scrivendo alla mail sara@evvivanoe.it.



Ebe Tirassa "Signorina in ceramica"


Ebe Tirassa "Signorine sparse"


Ebe Tirassa "Formella di ceramica"


Ebe Tirassa "Signorine sparse 2"


Ebe Tirassa "Signorine in blu"



Ebe Tirassa "Pannello in Raku"



Ebe Tirassa "Signorina e le rose"


Enrica Campi "Gatto"


Enrica Campi "Farfalle"


Massimo Voghera "Hansel & Grethel"


Giocoliere di Enrica Campi e galleria


mercoledì 7 maggio 2014

I PRERAFFAELLITI: L'UTOPIA DELLA BELLEZZA (Palazzo Chiablese, Torino)


La storia dell'arte ha accompagnato la mia crescita come quelle piccole bacchette di legno che sostengono e aiutano i ramoscelli delle piante a venir su senza piegarsi. Posso facilmente abbinare le varie fasi della vita alle passioni artistiche che le caratterizzavano. L'infanzia fu tutta libri di favole illustrati e album da colorare che mia mamma comprava ogni volta che mi ammalavo: passavamo lunghissimi pomeriggi d'inverno a disegnare e a costruire case di carta. Poi arrivarono i libri pop up che amavo e conservavo insieme alle bamboline, sempre di carta, con tutto il loro guardaroba. 

Alle elementari grazie alla mia "super suora-maestra" imparai cos'è una scenografia teatrale e il diegno dal vero, mentre alle medie, sempre merito della mia professoressa di allora, mi appassionai all'architettura prospettica dell'Alberti e a una certa precisione del disegno e del rilievo. 
L'adolescenza fu amore per l'impressionismo e poi, al liceo arrivarono loro: i Preraffaelliti. E se con il tempo ho cambiato più volte le mie personalissime propensioni, a seconda dell'età e di fugaci entusiasmi, loro sono rimasti nel mio cuore, sempre. 

Il perché forse sta nel fatto che colpirono profondamente l'animo romantico durante un'adolescenza un po' sofferta, rapita dal Decandentismo e un pochino "dark". In quegli anni mi struggevo per il Romanticismo inglese in letteratura, per l'amore mai realizzato dei cavalieri per le loro dame immaginarie e per l'inquietudine leggera che diventava quasi piacere. Questi Preraffaelliti avevano dipinto Dante e la sua Beatrice, le eroine medievali, le Ninfe dei boschi, Ofelia e tutte quelle storie di sentimenti tormentati e oscuri, profondamente simboliche....Avevano dato un volto, degli abiti, una concretezza ai miei miti di carta!

Inutile dire che la mostra che stava per arrivare a Torino l'attendevo con ansia e trepidazione. Queste opere, più di 70, giungono a Palazzo Chiablese dopo un "faticoso" tour mondiale. Ultima la tappa torinese: poi torneranno alla Tate Gallery e per chissà quanto non usciranno più da lì! L'esposizione è stata realizzata e curata da Alison Smith, capo curatore della sezione di arte inglese del XIX secolo presso la Tate Britain, insieme a Caroline Corbeau-Parsons (Assistente Curatore, Arte Inglese 1850-1915)

Ho sentito in un'intervista che gli inglesi le considerano un vero e proprio tesoro nazionale e che ne sentono profondamente la mancanza; alcuni londinesi pare si recano periodicamente a far loro visita alla Tate e ora non le trovano lì ad aspattarli. Insomma, questo mi fa molto riflettere riguardo la sensibilità italiana nei riguardi del proprio patrimonio artistico...Sappiamo dove sono e dove vanno le nostre opere d'arte? Nutriamo davvero per queste un così caldo affetto?
La mostra non mi ha deluso per nulla, anzi, mi ha entusiasmato.  
Ho visto l'Ofelia di John Everett Millais, 76 x 111,5 centimetri di splendore, di trasparenza d'acqua, di fiori delicati. Tutto sa di morte in questo quadro, anche la vegetazione, pur rigogliosa, che la circonda; di un verde brillante. E il volto stesso di lei bellissimo e delicato. Bellezza nella morte, decantata, celebrata, sospirata. 

John Everett Millaia, "Ofelia", 1851-52, olio su tela









Questi artisti si riunirono in una Confraternita in pieno periodo vittoriano, nel 1848. Il tutto partì come spesso accade, da tre giovani, John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti e William Holman Hunt, decisi a ribellarsi contro il soffocante establishment dell' epoca per creare opere più vere e ispirate direttamente alla natura, alla storia, alla religione e alla letteratura.

Il nome che scelsero voleva sottolineare l'ispirazione dello stesso movimento: l'arte italiana prima di Raffaello con tutti quei pittori che oggi chiamiamo "primitivi" (il primissimo Rinascimento per intenderci). 
I Preraffaelliti li avevano scelti perché li consideravano puri e scevri dall'odiato Accademismo che da Raffaello in poi divenne, secondo loro, imperante.

Decadenti e simbolisti, lasciarono un'impronta profonda nella società inglese e non solo...A chi credete si ispiri il cantante dei Cure, Robert Smith? E il regista Tim Burton nel suo film "La sposa cadavere" oppure in "Edward mani di forbice"? E ancora, l'eccelsa fotografia del film "Bright Star" di Jane Champion, con tutte quelle farfalle azzurrine e viola nella stanza di Fanny? Queste citazioni vengono abilmente e simpaticamente esposte in un video a un certo punto del percorso di visita della mostra (si tratta di un bel contributo di Luca Beatrice, curatore italiano e voce dell'esposizione) che è divisa in sette sezioni: La Storia, La Religione, I Paesaggi, La società contemporanea, Lo stile pittorico, La Bellezza e Il Simbolismo.
La mia preferita, quella della "Poesia".


Dante Gabriel Rossetti, "Dantis Amor", 1860, olio su mogano

La scelta di dipingere le pareti di colori scuri, come il blu, e l'illuminazione fortemente concentrata sull' area del dipinto, quindi non diffusa, è stata molto indovinata. I colori usati dai Preraffaelliti sono piuttosto intensi e le folte chiome rosse delle donne raffigurate (il tipo di bellezza prediletta era quello di un donna angelica e nello stesso tempo demoniaca, con caratteri somatici ben precisi) risaltavano eccezionalmente. Così come gli abiti e i gioielli, tutti rappresentati con una grande cura del dettaglio e un'attenzione puntuale per il simbolo.  


Dante Gabriel Rossetti, "Visione di Dante: Rachele e Lia", 1855, acquarello su carta

Dante Gabriele Rossetti fu il fondatore dei Preraffaelliti e probabilmente anche colui che portò all'estremo certe caratteristiche di questa corrente.

In lui arte e vita si fusero e si mischiarono in una sorta di sogno delirante in cui la sua prima moglie divenne la Beatrice di Dante (e lui stesso pensava di essere la reincarnazione del sommo poeta). Quando lei morì per aver ingerito una dose letale di laudano, medicinale allora usato per curare gli stati depressivi, lui depose nella bara, tra i suoi slendidi capelli rossi, i versi delle poesie da lei scritti in vita. Qualche hanno più tardi, desideroso di riaverli per pubblicarli insieme ai suoi, fece riaprire il feretro, di notte, al chiaro di luna. La leggenda narra che i capelli di ...... fossero cresciuti incredibilmente anche dopo la sua morte e avessero mantenuto una bellezza straordinaria. Il mito della bellezza, oltre la morte e nella morte.


Dante Gabriel Rossetti "Aurelia" (L'Amante di Fazio), 1863.73, olio su mogano



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Dante Gabriel Rossetti (1828-1882)